L’anatocismo bancario rappresenta un argomento molto discusso in ambito finanziario e giuridico, e si lega all’attività degli istituti di credito di calcolare gli interessi sugli interessi maturati da un debito non pagato
Questo tipo di pratica potrebbe determinare un impatto importante sui singoli consumatori, in quanto condurrebbe ad un aumento sostanziale e concreto – nel tempo – del debito originario.
Conoscere a fondo il significato e i meccanismi tipici dell’anatocismo bancario risulta fondamentale per tutelare i propri interessi finanziari.
Cosa si intende per anatocismo bancario?
L’anatocismo bancario prende piede nel momento in cui un istituto di credito calcola gli interessi non solo in relazione al debito originale, ma anche rispetto ad interessi maturati in precedenza e non pagati, in relazione al conto corrente aziendale dell’utente.
In poche parole, la banca integra gli interessi scaduti al debito iniziale e calcola gli interessi futuri sulla nuova somma ottenuta. Questo meccanismo può determinare un accumulo esponenziale del debito nel corso del tempo, dal momento che gli interessi vengono calcolati sugli interessi stessi.
Quando si sviluppa l’anatocismo bancario?
L’anatocismo bancario si sviluppa nel momento in cui un debitore non riesce più ad assolvere al pagamento degli interessi dovuti alla banca entro le varie scadenze stabilite in precedenza. Quando questo accade, la banca potrebbe cominciare a calcolare gli interessi sugli interessi maturati, generando quindi un contesto in cui il debito può lievitare molto rapidamente.
Come calcolare gli interessi
Al fine di appurare la presenza di interessi anatocistici, è fondamentale conoscere il tasso di interesse prefissato dalla banca e l’arco temporale entro cui gli interessi sono stati maturati. Impiegando un criterio di analisi adeguato, sarà possibile stabilire l’importo degli interessi che andranno ad addizionarsi al debito originale. Ad ogni modo, proprio in dipendenza della complessità riferibile ad una tale tipologia di calcolo, è sempre altamente consigliabile rivolgersi ad un professionista del settore, in modo da ottenere un’analisi al dettaglio degli eventuali costi aggiuntivi scaturiti dall’applicazione dell’anatocismo bancario.
Esiste un modo per difendersi da eventuali interessi sugli interessi?
Fortunatamente, esistono molte strategie adottabili dai consumatori per difendersi dall’applicazione degli interessi sugli interessi sul proprio conto corrente aziendale in seno all’anatocismo bancario. A questo proposito, risulta fondamentale, in primis, conoscere bene i propri diritti. Questo si traduce nell’essere profondamente consapevoli dei propri diritti in qualità di consumatori, oltre che di tutte quelle normative che determinano l’anatocismo bancario nell’ambito del proprio paese di appartenenza; ciò può implicare l’analisi dettagliata delle varie normative locali, oltre che la consultazione di un avvocato specializzato in materia.
Il consumatore inoltre dovrà leggere con molta attenzione i contratti prima di sottoscriverli, concedendo particolare attenzione alle disposizioni legate agli interessi e analizzando la presenza di eventuali clausole implicite, di natura anatocistica.
In dipendenza dei casi specifici, spesso è possibile aprire un processo di negoziazione con la banca, con l’obiettivo di ridurre gli interessi o – ancora – rimuovere del tutto le varie clausole anatocistiche dal proprio conto corrente aziendale. Naturalmente, l’attività di negoziazione pretende un’ottima conoscenza delle pratiche finanziarie, coadiuvata alla capacità di avanzare argomentazioni efficaci che possano condurre all’ottenimento di un accordo positivo per il consumatore; da qui, la necessità di rivolgersi ad un legale esperto in materia finanziaria.
Se si ritiene quindi di essere stati vittime di pratiche di anatocismo bancario ingiuste o illegali, è fondamentale rivolgersi ad un legale specializzato e competente.

L’articolo 1283 del codice civile
L’anatocismo è parzialmente ammesso nell’ambito del nostro codice civile, in dipendenza delle condizioni stabilite dall’articolo 1283. Questo dichiara che:
“In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.
Le banche quindi hanno la facoltà di capitalizzare gli interessi entro i limiti specificati di seguito:
- Qualora sul credito da conto corrente aziendale siano maturati degli interessi che non sono stati estinti entro i termini di scadenza stabiliti. In questo caso la banca potrà calcolare i nuovi interessi rispetto al montante (credito più interessi) a partire dal giorno della domanda giudiziale;
- Nel caso in cui le parti hanno stabilito all’interno del contratto che nell’eventualità di un difetto nel pagamento degli interessi, su questi interessi scaduti vengano calcolati nuovi interessi.
In entrambi i casi, la data di decorrenza relativa alla maturazione degli interessi dovrà essere di almeno sei mesi.
La norma comunque implica alcune deroghe a questi limiti, quando afferma “in mancanza di usi contrari”. Si deve proprio a questa locuzione infatti, lo sviluppo primario di tutte quelle pratiche legate all’anatocismo bancario. La giurisprudenza ha acconsentito per decadi all’uso legittimo dell’anatocismo bancario, ma la necessità di scongiurare contesti usurari ha spinto i giudici, nel tempo, a cambiare idea. Vediamo sotto in che modo.
La prima Cassazione “anomala”
Le prime disposizioni giudiziarie contrarie all’affermazione dell’orientamento circa la legittimità dell’anatocismo bancario, vedono la luce intorno al 1999. In quell’anno, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito – nell’arco di due diverse sentenze – quanto segue:
- la negazione che gli usi bancari avessero un carattere normativo, determinandone invece il carattere puramente negoziale. I giudici ritenevano quindi che le clausole anatocistiche risultassero idonee a derogare l’articolo 1283 del codice civile;
- l’evidenza dell’elemento psicologico impiegato dalle banche e alla base dell’attuazione di tali pratiche di anatocismo, inducendo il principio di obbligatorietà verso il cliente in merito alla sottoscrizione delle clausole sulla capitalizzazione degli interessi al fine di ottenere il finanziamento;
- la disparità di trattamento tra interessi debitori e creditori del cliente dell’istituto di credito.
In coda a tali punti citati sopra, per evitare un incremento importante – e conseguenziale – di casi di contenzioso in fatto di anatocismo, intervenne il decreto legislativo 342/99. Tale decreto andava ad apportare alcune modifiche all’articolo 120 del T.U.B. (Testo Unico Bancario).
L’articolo 120 del T.U.B.
Con l’introduzione del secondo comma nell’ambito dell’articolo 120 del T.U.B., il decreto legislativo 342/99 attribuì al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) l’onere di determinare con delibera i modi e i criteri circa la produzione di interessi sugli interessi nell’ambito di attività finanziarie. Ad ogni modo, questi criteri dovevano garantire le medesime tempistiche di calcolo degli interessi debitori e creditori al cliente, pari ad un anno almeno. Ed ecco risolta la problematica di disparità di trattamento sollevata in precedenza dalla Cassazione.
La delibera del CICR fu poi emanata il 9 febbraio del 2000, risultando operativa a partire dal 22 aprile dello stesso anno.
Lo stesso decreto legislativo determinava inoltre che le clausole anatocistiche integrate in quegli anni nei contratti bancari, dovessero continuare a godere di validità fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR e che quindi dovessero poi adeguarsi alla delibera, se non volevano perdere di efficacia. Questa norma è stata poi sottoposta all’esame della Corte Costituzionale, che ne dichiarò l’incostituzionalità.
In una fase successiva, comunque, l’anatocismo bancario è stato vietato in termini assoluti grazie alla legge di stabilità 2014.
Legge di stabilità 2014
È stata proprio la legge di stabilità 2014 ad intervenire in maniera risolutiva sulla materia, vietando alle banche e a tutti gli intermediari finanziari di imputare gli interessi maturati a capitale, generando così di conseguenza la maturazione di “interessi su interessi”.
Prima di tale normativa – come già visto sopra – la capitalizzazione degli interessi implicava che ogni trimestre gli interessi passivi venissero calcolati sulla quota capitale originaria, trasformandosi così a loro volta in “nuovo” capitale su cui calcolare gli interessi passivi nel nuovo trimestre, e così via.
Un simil quadro di capitalizzazione degli interessi concedeva alle banche la possibilità di ottenere margini da interesse assolutamente vantaggiosi, mentre il correntista si trovava a fronteggiare oneri più elevati in seno al proprio conto corrente aziendale, che superavano spesso anche quanto previsto dal tasso soglia Bankitalia. La legge di stabilità 2014 ebbe il merito di favorire una certa simmetria tra gli interessi creditori e quelli debitori, evitando il rischio che gli interessi passivi venissero integrati a conto capitale e trattando quindi quest’ultimi in modo separato.
Il D.L. 18/2016
In seguito alla legge di stabilità 2014, è poi intervenuto in forma ancora più peculiare il D.L. n. 18/2016, convertito in un secondo momento nella legge n. 49/2016 con l’art. 17-bis. Con questo, il legislatore ha revisionato l’articolo 120 del T.U.B., dettagliando come il divieto di capitalizzazione degli interessi si applichi solo agli interessi debitori ad eccezione di quelli di mora. Il decreto ha precisato inoltre che tali interessi sono calcolati solo sul capitale. La normativa ha poi integrato due condizioni per gli interessi circa le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento e sugli sconfinamenti in assenza di affidamento o – ancora – oltre il limite del fido. Queste condizioni implicano che:
- gli interessi vengano conteggiati al 31 dicembre e diventino esigibili il 31 marzo dell’anno successivo rispetto al quale sono stati maturati. Nell’eventualità in cui il rapporto venga chiuso in maniera definitiva, gli interessi saranno esigibili in forma immediata; è inclusa la possibilità di autorizzare l’addebito su conto corrente degli interessi esigibili la cui somma addebitata è considerata come quota capitale. L’autorizzazione può essere sempre revocata prima dell’avvenuto addebito.
Questa normativa ha dato il via libera ad un vivo dibattito a livello giurisprudenziale, coinvolgendo la presenza di sentenze che comunque – per lo più – hanno sempre continuato a tutelare i diritti dei correntisti.
Delibera CICR 343/2016
A sancire ancora più chiarezza sul tema, ci ha infine pensato la delibera del CICR n. 343 del 3 agosto 2016. Questa ha determinato – in allineamento con l’articolo 120 del T.U.B. – che:
gli interessi debbano essere contabilizzati separatamente dal capitale;
gli interessi debitori divengono esigibili dal 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati.
Ciò ha quindi spinto in maniera definitiva la contabilità dei vari istituti di credito a mantenere separati i debiti in linea capitale dagli interessi in maturazione.
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