Quando si parla di anatocismo ci si riferisce alla produzione di interessi da altri interessi resi produttivi anche se scaduti o non pagati, su un capitale specifico.
Nel momento in cui questa forma di capitalizzazione degli interessi si applica nei contratti bancari (e nel dettaglio ai contratti di conto corrente) siamo di fronte a contesti di anatocismo bancario.
In questo specifico contesto, l’anatocismo prende vita tramite il calcolo di interessi sugli interessi passivi, ossia su quelle cifre dovute dal correntista per essere andato “in rosso” nell’ambito del proprio conto corrente.
L’anatocismo bancario corrisponde ad un calcolo degli interessi finalizzato a far sì che gli interessi periodici maturati generino altri interessi. Ergo, gli interessi vengono integrati alla somma capitale prestata, in modo da poter sviluppare altri interessi nell’arco di tempistiche successive.
Quando si va in rosso sul conto corrente
Lo scoperto sul conto corrente corrisponde esattamente a quella data somma che la banca offre al cliente (in relazione al pagamento di interessi) nell’eventualità in cui quest’ultimo sia in difficoltà nel possedere liquidi. La somma concessa produce interessi solo nel momento in cui viene utilizzata e di solito appare caratterizzata da un tetto massimo.
Anatocismo e Usura
L’applicazione delle clausole in seno alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi implica la generazione di una situazione di usura a carico del correntista.
Bisogna infatti considerare che il tasso di interesse in usura viene calcolato utilizzando come base il TEGM (Tasso Effettivo Globale Medio) rilevato dalla Banca d’Italia, aumentato di un quarto (25%) con un’ulteriore possibilità di aumento di 4 punti percentuali, tenendo inoltre presente che il TEGM risulta inclusivo di tutte le spese e remunerazioni ( ad esclusione di tasse e imposte) in relazione ai tassi annuali esercitati da parte degli istituti di credito di riferimento.
Per mezzo della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, quest’ultimi vanno quindi ad aggiungersi al capitale, generando ulteriori interessi. Nel momento in cui la somma delle passività di un conto (compreso di interessi, commissioni e spese) supera il tasso di soglia come calcolato precedentemente, si ha un contesto di usura.
Chiaramente, l’applicazione dell’anatocismo fa sì che questa soglia sia facilmente superata, ponendo di conseguenza il correntista nelle condizioni di pagare interessi usurari sul proprio conto corrente.
Facciamo un esempio pratico:
Il 1° gennaio il cliente X deve alla banca una somma di 10.000 euro (capitale) sulla quale maturano nel corso dell’anno gli interessi al tasso dell’1% su base annuale.
Data Capitale – Tasso Mesi Interessi – Somma da restituire
1° Gennaio 2017 10.000
31 Dicembre 2017 1.000 (Capitale iniziale) 1% (Tasso d’interesse) 12 (mesi totali) = 10 1.010
Il 31 dicembre la somma dovuta dal cliente sarà di 1.010 euro: 10 euro di interessi + 1.000 euro di capitale iniziale.
All’inizio dell’anno successivo i 10 euro di interessi vanno ad aggiungersi al capitale.
Se le condizioni non mutano, alla fine dell’anno successivo il debito del cliente produrrà interessi per 10 euro e 10 centesimi: la somma di 10 centesimi che si è aggiunta rappresenta proprio l’interesse maturato sui 10 euro di interessi aggiunti al capitale alla fine dell’anno precedente.
Il debito complessivo del cliente è così salito a 1.020,10 euro.
1° Gennaio 2017 1.000
31 Dicembre 2017 1.000 1% 12 10 1.010,00
1° Gennaio 2018 1.010
31 Dicembre 2018 1.010 1% 12 10,10 1.020,10
Questi i presupposti che stanno alla base della problematica in seno alla diffusione dell’anatocismo bancario, la quale ha creato danni di vasta portata all’indirizzo di un numero altissimo di soggetti.

Codice Civile e Anatocismo
L’anatocismo bancario appare strutturato da una chiara disposizione in seno al Codice Civile, e in particolare dall’articolo 1283, il quale contempla che gli interessi scaduti risultino legittimati a generare interessi esclusivamente in tre casi:
- dal momento di una domanda giudiziale;
- nell’eventualità di una convenzione posteriore alla loro scadenza (ma sempre che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi);
- in caso di usi che lo prevedano.
Di conseguenza, in tutti gli altri contesti l’anatocismo va considerato illegittimo.
L’ABI (Associazione Bancaria Italiana) a partire dal 1952 ha programmato la capitalizzazione degli interessi passivi sui conto correnti. In merito alle tempistiche di scadenza di tale capitalizzazione, queste erano previste secondo un profilo trimestrale, mentre rispetto al conteggio degli interessi attivi, la scadenza veniva mantenuta su una scala annuale.
L’ABI ha sancito la strutturazione di una tale finestra temporale, basandosi su una particolare interpretazione dell’articolo 1283 del Codice Civile, secondo cui la capitalizzazione degli interessi passivi a scadenza trimestrale corrispondeva ad un uso e perciò rientrava nelle eccezioni previste dallo stesso articolo.
Le sentenze della cassazione del 1999
L’orientamento in seno alla giurisprudenza favorevole agli istituti di credito subisce un forte battuta di arresto nel 1999, grazie alla sentenza numero 2374 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Tramite questa sentenza, la Suprema Corte declassa gli usi bancari alla base dell’anatocismo da normativi a negoziali.
La Suprema Corte ha infatti preso in considerazione il fatto che gli usi indicati dall’articolo 1283 Codice Civile dovevano possedere alcune peculiarità particolari:
- un elemento oggettivo, dato dal ripetuto comportamento tra le parti per un lungo periodo;
- un elemento soggettivo, dato dalla convinzione della vincolante giuridicità di questo comportamento.
Nel contesto delle clausole implicanti l’anatocismo bancario, veniva ritenuto mancante dalla Corte Suprema il secondo elemento, in quanto i correntisti non avevano né la volontà né la consapevolezza di obbedire ad una regola che determinava la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, ma si limitavano ad una passiva accettazione dell’imposizione in seno al contraente (ossia la banca).
Pertanto, grazie a questa sentenza, le clausole implicanti il calcolo trimestrale in anatocismo degli interessi passivi subivano un’ufficiale battuta d’arresto legata ad una nullificazione delle stesse.
La sentenza 20195/2044 della corte di cassazione a sezioni unite
In merito alle sentenze promulgate a posteriori dalla stessa Corte Suprema, risulta di grande impatto e importanza la numero 20195 del 2004. Tramite questa sentenza infatti, la Corte arriva a dichiarare che le clausole implicanti la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovevano essere nullificate anche se stipulate prima dell’ultimo orientamento della giurisprudenza avvenuto appunto, come abbiamo già visto, nel 1999.
Secondo una tale disposizione, viene attribuito un effetto retroattivo all’inesistenza di un uso normativo giustificato ex articolo 1283 Codice Civile per quel che riguarda la capitalizzazione degli interessi passivi a scadenza trimestrale.
Le pronunce dei Tribunali di merito e della Corte di Cassazione indussero il legislatore a intervenire in merito: tramite il Decreto Legislativo numero 342 del 1999 venne attribuito al CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) la prerogativa di stabilire le modalità di regolazione della produzione di interessi sugli interessi passivi.
Tale normativa stabiliva anche che nell’ambito del rapporto bancario, doveva vigere un rapporto di mutua reciprocità e di conseguenza doveva circolare la medesima reciprocità in seno alla periodicità di conteggio degli interessi attivi e passivi.
La stessa normativa prevedeva inoltre le clausole contrattuali che riguardavano la produzione di interessi su interessi stipulate prima dell’entrata in vigore della delibera che il CICR avrebbe dovuto emanare, dovevano ritenersi valide, mentre dovevano essere prese in considerazione solo quelle legate alla delibera del CICR, nel caso di contratti emessi posteriormente a suddetta delibera.
Nella pratica, questa normativa dettava delle linee guida che puntavano a mantenere vivo l’anatocismo bancario sia per i contratti precedenti alla deliberazione che per quelli che sarebbero seguiti, a patto che venisse osservata la condizione di reciprocità temporale.
Anni 2000, arriva la delibera del CICR
Con la delibera del 9/8/2000, il CICR soddisfa la delega ricevuta dal legislatore, riconoscendo l’ammissibilità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, a patto che vi sia reciprocità temporale nel calcolo degli interessi attivi.
Queste condizioni andranno ad essere applicate anche ai contratti stipulati precedentemente alla delibera: questi perciò devono essere considerati validi come stipulati in origine, solo fino al momento dell’entrata in vigore della delibera in questione.
La Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale interverrà nell’anno successivo per cancellare il decreto “salva-banche” (così era stato definito l’intervento del legislatore).
Nel dettaglio, l’articolo 25 3° comma di questo decreto (con cui veniva prevista la legittimità dell’anatocismo bancario) con la sentenza 425/2000 viene dichiarato illegittimo e l’anatocismo bancario dichiarato finalmente incostituzionale.
Parliamo chiaramente di una pronuncia di estrema importanza, in quanto la più alta autorità giudiziaria si è risolta nel constatare come la pratica dell’anatocismo bancario sia in netta battaglia con le norme costituzionali.
Risarcimenti e prescrizioni
Le sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale hanno spianato la strada ad un numero esorbitante di richieste di risarcimento, inoltrate da quei correntisti che erano stati danneggiati dalla pratica dell’anatocismo bancario.
Tale contesto ha funto da terreno fertile per il determinarsi di un’altra problematica: la strutturazione di un termine di prescrizione entro cui è possibile per i correntisti richiedere il risarcimento dei danni subiti e la restituzione delle somme indebitamente pagate alle banche.
Con la pronuncia numero 24418 del 2010, la Corte di Cassazione stabilisce il diritto per i correntisti a ottenere il rimborso delle somme addebitate sui conti correnti come capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.
Inoltre, il decreto stabilisce che il termine della prescrizione di tale diritto di rimborso a norma di legge è decennale: ma da quando decorre questo termine?
Stando alla Suprema Corte, la prescrizione non decorre da ogni singola annotazione in conto corrente, ma dalla data di estinzione del conto corrente stesso e riguarda tutte le operazioni effettuate sul conto corrente, dal momento dell’apertura alla sua chiusura.
Siamo evidentemente al cospetto di una pronuncia che volge a favore dei correntisti, i quali potranno ora godere di un lungo termine prima della caduta in prescrizione del loro diritto.
Salva-banche e Milleproroghe
Il successivo intervento del legislatore, tramite la legge numero 10/2011 di conversione del decreto legge numero 225/2010 (cosiddetto “Milleproroghe”) implica un secondo tentativo di salvaguardare gli interessi degli istituti di credito. Tramite questa normativa, viene determinato come la prescrizione relativa alle operazioni di conto corrente bancario decorra dalla data di annotazione della singola operazione in conto e non corrisponda alla chiusura del conto stesso. Tramite questo escamotage, il correntista che intenda chiedere il risarcimento del danno si trova ad affrontare dei calcoli molto più complessi, incappando quindi nel rischio concreto di ottenere un risarcimento molto inferiore rispetto a quanto realmente gli spetti di diritto.
Il secondo intervento della Corte Costituzionale
Risulterà nuovamente fondamentale un secondo intervento della Corte Costituzionale volto a riequilibrare i rapporti tra banche e correntisti. Tramite la promulgazione del 7/8/2012, la Corte Costituzionale dichiara illegittima la norma contenuta nel decreto Milleproroghe in fatto di prescrizione delle azioni relative alle operazioni di conto corrente bancario. Di conseguenza, torna ad essere considerata valida la prescrizione decennale dalla chiusura del conto corrente stesso e torna attivo il principio di tutela al diritto del cittadino rispetto all’ottenere il risarcimento di tutte le somme versate indebitamente alle banche a causa dell’applicazione dell’anatocismo bancario.
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